L’Ottocento e l’avvio dell’esperienza industriale
La storia della provincia di Varese dall’Unità ad oggi non si discosta dalla vicenda dell’intero Paese nella sua transizione da un’economia agricola a quella postindustriale oggi dominante. Tuttavia, all’interno di questo scenario, è l’industria che ha segnato più profondamente il paesaggio e la popolazione, nelle attitudini e nella cultura.
Il territorio che oggi fa capo alla provincia di Varese viene definito amministrativamente solo nel 1927. Precedentemente esso è ripartito tra la provincia di Como che abbraccia l’Alta pianura lombarda tra l’Adda e il Ticino, e quella di Milano che a sud include i centri di Busto e Gallarate. Un’agricoltura poco sviluppata e la presenza di un territorio montuoso, ma aperto alle comunicazioni verso tutte le direttrici favorisce sin dall’Ottocento la presenza di artigiani (muratori, tagliapietre) che si spostano nei territori confinanti. La produzione tessile di sete e cotoni prospera grazie alla notevole quantità di manodopera femminile che lavora nelle manifatture site lungo i corsi d’acqua – l’Olona in particolare – ma soprattutto grazie al lavoro a domicilio cui le famiglie contadine si dedicano nel tempo lasciato libero dal lavoro nei campi. L’attività economica genera un nucleo di imprenditori i cui interessi sono legati più a Milano che a Como. Di qui una costante richiesta di autonomia amministrativa dal capoluogo lariano che nel 1862 il nuovo stato unitario accoglie parzialmente costituendo nel circondario di Varese un’autonoma Camera di commercio.
Accanto all’industria tessile, il territorio può contare su qualche cartiera, poche miniere, cave di pietra e calcare. L’apporto energetico è dato dalle poche risorse idriche, dai boschi e dalle numerose torbiere. Lo sviluppo dell’industria tessile fa da battistrada allo sviluppo dell’industria metallurgica e meccanica: l’introduzione dei telai meccanici e la conseguente esigenza di manutenerli e ripararli favoriscono il potenziamento di questa branca industriale, con effetti positivi a cascata sugli altri settori. La lavorazione delle pelli e dei cuoi prende le mosse dal patrimonio zootecnico locale, ma si espande man mano che lo sviluppo economico favorisce la meccanizzazione dei trasporti a trazione animale.
Verso la fine dell’Ottocento le bellezze paesaggistiche del territorio avviano un’importante attività turistica che esercita un forte richiamo sulla metropoli milanese. Infine, tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta dell’Ottocento nascono i primi istituti bancari che, nel tempo, formeranno un sistema finanziario in grado di supportare lo sviluppo industriale. Questo sistema economico, sufficientemente diversificato e integrato, consente alle famiglie contadine di sperimentare la transizione verso forme di lavoro artigiano e si rivela un incubatore di micro-imprenditorialità. Inoltre, la vicinanza della metropoli milanese offre al territorio ampie opportunità: le grandi imprese locali utilizzano il capoluogo lombardo per ampliare le reti finanziarie, commerciali, relazionali; Milano trova in questo territorio la possibilità di decentrare parti importanti del proprio apparato produttivo.
Il Novecento e l’apice del modello industriale
Il Novecento offre al territorio di Varese la possibilità di un rapido sviluppo: la Prima guerra mondiale favorisce l’incremento quantitativo e qualitativo dell’industria meccanica con l’avvio della motoristica e delle costruzioni aeronautiche. Le attività di Caproni, Macchi fanno di Varese il polo nazionale della nuova industria aeronautica. Negli anni venti anche il settore dei trasporti conosce importanti innovazioni: da sempre limitato nei trasporti ferroviari – le due grandi linee di trasporto ferroviario che collegano il porto di Genova alla Germania e alla Francia passando da Milano escludono Varese – il territorio conosce una importante rivincita nel 1924 con l’apertura della prima autostrada al mondo, la Milano-Gallarate. A supporto delle esigenze dell’industria tessile, si sviluppa l’industria chimica che contribuisce a rafforzare il carattere variegato dello sviluppo economico locale. Per ultimo, alcune attività di tipo artigianale come la lavorazione delle pipe acquisiscono una prima struttura industriale mentre la lavorazione del cuoio decolla pienamente con l’apertura di grandi calzaturifici.
Gli anni del fascismo vedono il decollo industriale della provincia e, parallelamente, il riconoscimento dell’autonomia amministrativa con la nascita nel 1927 dell’ente provinciale. É tuttavia nel secondo dopoguerra che la vocazione industriale del territorio trova piena espressione. L’industria meccanica da un lato subisce le conseguenze negative del conflitto, per cui il comparto aeronautico è soggetto ad un pesante ridimensionamento, dall’altro l’espansione dei redditi e la modificazione dei costumi favoriscono l’industria degli elettrodomestici e la motoristica. L’industria cotoniera raggiunge la massima espansione produttiva, profittando anche della crisi che inizia ad investire i paesi industrialmente più avanzati.
La crisi del sistema industriale e la chiusura di un ciclo storico
Già dalla fine degli anni sessanta l’apertura dei mercati ai prodotti dei paesi asiatici emergenti determina il ridimensionamento del settore tessile: la grande fabbrica cessa di fare da traino all’economia e inizia una diaspora di personale qualificato che si inserisce con proprie attività autonome all’interno dei vari cicli produttivi. Di lì a breve la trasformazione dell’economia italiana e mondiale determina la contrazione di gran parte dei settori che avevano promosso l’industrializzazione della provincia. La frammentazione delle imprese è la caratteristica più rilevante di questi ultimi decenni e se da un lato esprime la vitalità e le capacità adattive del sistema industriale, dall’altro ne riduce le possibilità di affrontare con efficacia i problemi posti dall’integrazione globale dei mercati.
Altre attività – servizi, trasporti, ricerca scientifica e formazione – conoscono un rilevante sviluppo e la loro affermazione determina l’aumento del peso relativo del settore terziario nell’economia locale: come in tutte le aree avanzate del Paese, si inizia a parlare di un‘economia e di una società post-industriali.
Il ridimensionamento della grande impresa segna dunque sul territorio la fine di un ciclo economico apertosi negli ultimi decenni dell’Ottocento e questo mutamento produce riflessi anche sul piano sociale e culturale. Dinanzi a questa trasformazione epocale, già a partire dagli anni settanta uomini di cultura, imprenditori e istituzioni pubbliche avvertono la responsabilità di raccontare al pubblico, attraverso gli oggetti e gli ambienti della produzione, la storia dell’impresa e dei prodotti inserendola nel contesto della storia dell’economia locale, dell’evoluzione tecnologica, delle modificazioni del costume della società. Con gli anni ottanta e novanta, quando la vastità del processo di deindustrializzazione fa temere che si disperda anche il ricordo del passato industriale del territorio, quel senso di responsabilità culturale spinge imprese, università e singoli soggetti a dar vita a istituzioni culturali permanenti (musei, centri di ricerca, collezioni) che oggi consentono di mantenere viva la conoscenza del passato.
La tradizione industriale di Varese rivive pertanto attraverso queste istituzioni, che svolgono la funzione di ponte culturale tra generazioni e aiutano le comunità locali a razionalizzare la cesura epocale che le ha investite e i cui effetti perdurano tutt’oggi.